IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 2622 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell'anno 2006 avente ad oggetto: appello sentenza g.d.p. tra Comune di Volterra in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Ceccarelli e Monica Tangarelli presso il cui studio e' elettivamente dom.to in Pontedera alla via Roma n. 95 giusta procura a margine dell'atto di citazione per appello, appellante e Renzo Verdianelli rappresentato e difeso dall'avv. Guido Verdianelli e dall'avv. Giulia Verdianelli presso il cui studio e' selettivamente dom.to in Volterra, via Matteotti n. 21, appellato. F a t t o Con ricorso depositato presso il giudice di pace di Volterra, Renzo Verdianelli proponeva opposizione al verbale di contestazione n. 002977/A/05 del 25 luglio 2005 elevato dalla Polizia Municipale di Volterra nei suoi confronti per euro 42,23 in conseguenza dell'accertata infrazione all'art. 157 c.d.s. A sostegno dell'opposizione deduceva la nullita' dell'accertamento in quanto notificatogli il 27 dicembre 2005, e quindi oltre il termine di 150 giorni dalla data dell'infrazione (art. 201 c.d.s.). Resisteva il Comune di Volterra deducendo la regolarita' della notificazione perche' avvenuta 149 giorni dopo l'accertamento essendo stato il verbale consegnato alle poste il 21 dicembre 2005. Asseriva, infatti, che anche al caso di specie era estensibile la pronuncia della Corte Costituzionale, in virtu' della quale ha dichiarato incostituzionale l'art. 149 c.p.c. essendo irragionevole far discendere una decadenza dal ritardo dell'ufficiale giudiziario, ragion per cui il momento in cui si deve ritenere perfezionata la notificazione per il notificante e' il momento in cui il notificante ha svolto le formalita' a lui direttamente imposte dalla legge. Con sentenza n. 54 del 3 maggio 2006, il giudice di prime cure accoglieva il ricorso annullando il verbale opposto e condannando l'amministrazione comunale al rimborso delle spese. Avverso la sentenza del giudice di pace proponeva appello il comune soccombente. Acquisita la documentazione, la causa veniva ritenuta in decisione previa autorizzazione allo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. D i r i t t o Questo Tribunale ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che, abrogando l'ultimo comma dell'art. 23 della legge n. 689/1981, ha indirettamente introdotto l'appellabilita' delle sentenze che concludono il procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione in forza della regola generale prevista dall'art. 339, comma 1 c.p.c., appellabilita' che era esclusa dal comma abrogato. Il decreto legislativo n. 40 e' stato emesso in virtu' di una delega al Governo perche' apportasse «modificazioni al codice di procedura civile» contenuta nella legge 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2. I principi e i criteri direttivi a quali il Governo si sarebbe dovuto attenere sono stati fissati dal comma 3 di tale legge, ove sub a) sono elencati quelli che avrebbero dovuto presiedere alle modifiche al «processo di cassazione in funzione nomofilattica» e sub b) quelli destinati alla razionalizzazione della disciplina dell'arbitrato. Esaminando dunque i principi e criteri sub a), invano si cercherebbe una delega estesa a modificare il regime di impugnazione delle sentenze emesse a conclusione del procedimento previsto dall'art. 23, legge n. 689/1981. La nuda previsione di una nuova fase di merito a cognizione illimitata secondo gli ordinari strumenti propri del giudizio di appello non e' destinata a incidere in alcun modo sul successivo eventuale giudizio di cassazione come disciplinato dalla novella, e (salvo valutazioni inespresse di carattere metagiuridico) non appare funzionale all'obiettivo espresso della legge delega, ravvisato nella maggiore efficienza nomofilattica. Le sentenze dell'art. 23, legge n. 689/1981 concludono un giudizio che ha natura essenzialmente demolitoria; attengono alla legittimita' formale e sostanziale di una ordinanza ingiunzione emessa a conclusione di una fase svoltasi in sede amministrativa e gia' volta alla verifica in contraddittorio dell'illecito; hanno un contenuto tipico prefissato dalla legge (rigetto dell'opposizione, accertamento della nullita' totale o parziale dell'ordinanza, modifica di essa) e tale da definire in ogni caso il giudizio. Come si vede, introdurra' senza limiti (come invece e' contestualmente avvenuto per le sentenze del giudice di pace: art. 339, comma 3) una nuova valutazione di merito si profila come irrazionale «duplicazione» di una prima fase gia' ex se avente struttura e oggetto tipici dell'impugnazione di merito. La mancanza di qualsiasi accenno della legge delega a modifiche del regime di esclusiva ricorribilita' per cassazione delle sentenze in esame non e' dunque casuale, ma salvaguarda una logica di sistema, che il potere esecutivo delegato non puo' alterare senza espressa previsione in tal senso. Previsione non rinvenibile nemmeno nella clausola generale del comma 4 dell'art. 1 della legge delega, in base al quale il Governo puo' «revisionare la formulazione letterale delle altre norme processuali civili vigenti non direttamente investiti dai principi di delega». Non e' dato comprendere, alla luce delle doverosamente sintetiche osservazioni sopra espresse, in che modo l'abrogazione dell'ultimo comma dell'art. 23, legge n. 689/1981 «si accordi alle modifiche apportate dal decreto legislativo»: modifiche attinenti al solo giudizio di legittimita' e che non investono nemmeno «indirettamente» una norma che si limitava a prevedere proprio tale forma esclusiva di controllo di legalita', mediante una eccezione rispetto al principio generale dell'art. 339 c.p.c., comma 1, del tutto coerente con la specificita' della materia e la struttura dell'accertamento da compiere. La corretta verifica del rispetto della legge delega salvaguarda il principio di stretta delimitazione dei poteri normativi attribuibili al Governo, secondo lo spirito e la lettera dell'art. 76 della Costituzione. Il limite di un oggetto «definito», secondo l'imperativo dato testuale, costituisce allora il limite costituzionale anche di quelle formule di delega volutamente ambigue, come quella introdotta con il comma 4 appena esaminato, ma proprio per questo da riempire mediante un contenuto pur sempre pertinente con la materia delegata, secondo una oggettiva evidenza normativa. E' ovvia la rilevanza in causa della questione di legittimita' costituzionale cosi' introdotta, appena ove si osservi che la sentenza oggetto di appello e' stata pubblicata dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, come prevede l'apposita norma transitoria dell'art. 27, e che primo compito del giudice di appello e' verificare, anche d'ufficio, che il provvedimento sia appunto appellabile.